di Benedetta Giacomello
Viale Ungheria sembra essere più uno sfondo che un vero protagonista nella vita delle famiglie. È vissuto per necessità – spostamenti, commissioni – ma raramente scelto come luogo di relazione. È come se mancasse qualcosa che inviti a fermarsi, a sentirsi parte di un contesto più grande. Il potenziale c’è, ma oggi è poco espresso.
Le famiglie partecipano in modo silenzioso e adattivo. Si prendono cura, per quanto possibile, degli spazi vicini alle proprie abitazioni, ma non sembrano coinvolte in modo collettivo. La presenza è costante ma discontinua: si percepisce un desiderio di vivere meglio il quartiere, che però non trova canali chiari per esprimersi.
In certi dettagli sì, anche se in maniera contraddittoria. I cartelli che vietano di sedersi sui gradini di un condominio – e sono ben cinque – raccontano di un uso passato dello spazio. Qualcuno lì si fermava, parlava, stava. Oggi il divieto prende il posto del ricordo: non resta chi c’era, resta solo ciò che non si può più fare.
In parte, ma con molte difficoltà. Ci sono abitudini che resistono, come il passaggio quotidiano, il saluto veloce tra vicini, qualche incontro casuale. Ma manca un’infrastruttura – fisica o sociale – che dia continuità a queste pratiche e permetta loro di crescere. Tutto sembra un po’ provvisorio. Anche i negozi dove potersi incontrare chiudono uno dopo l’altro.
Attualmente molto poco. Gli spazi vuoti non sono stati riconvertiti in occasioni di incontro, e questo frena la possibilità di creare nuove connessioni. Le persone nuove spesso restano ai margini, senza sapere come inserirsi. Servirebbero più segni di apertura, più inviti impliciti alla partecipazione.
Ad oggi, pochissime. Non esistono spazi comuni riconoscibili dove le persone possano lasciare tracce, né strumenti per rendere visibili i propri contributi. Il quartiere viene attraversato, ma non modellato da chi lo vive. Eppure, basterebbero piccoli gesti – un’aiuola curata insieme, un muro decorato – per restituire a chi abita la possibilità di sentirsi parte attiva.
Che la partecipazione non si improvvisa, ma va nutrita con fiducia, tempo e piccoli atti condivisi. Dove manca ascolto, confronto e riconoscimento reciproco, le persone tendono a ritirarsi. Viale Ungheria ci mostra quanto sia importante creare contesti in cui tutti possano sentirsi autorizzati a contribuire.
Potrebbe iniziare con gesti semplici: luoghi visibili dove condividere idee, occasioni leggere ma continue per ritrovarsi, figure di riferimento che facilitino le relazioni. Gli spazi sfitti potrebbero essere riattivati temporaneamente con attività aperte, creative e accessibili. Dare valore a ciò che già c'è – persone, storie, desideri – sarebbe un primo passo per costruire un senso di comunità più forte.