ABITO DI CONFINI
MUOVERSI DIETRO LE QUINTE DEL PALCOSCENICO ITALIANOITALIANO | ENGLISH
un film in arrivo
Una giacca pende da un albero a ovest, jeans da un albero a est. Gli abiti che adornano questi due disparati confini montani sono l'unica cosa che hanno in comune. Pochi hanno visto entrambi. Ma chi l'ha fatto può forse comprendere questo Paese in modi che il resto di noi fatica a cogliere.
L'Italia è uno degli Stati più visitati al mondo, con 65 milioni di turisti internazionali previsti nel 2024, superando la popolazione residente per la prima volta. La vicina Francia supera persino l'Italia, con oltre 100 milioni di arrivi. Un vasto comprensorio sciistico che cavalca il confine fra i due esemplifica questo movimento, con più di 10 milioni di passaggi registrati in un inverno. Gli impianti li portano oltre il confine, le gambe libere a penzoloni, lo skipass al posto del passaporto, pronti a scivolare indietro sulla neve che i cannoni sparano la notte. Ma non tutti sono i benvenuti. Alcuni cercano di oltrepassare lo stesso confine con le proprie gambe, arrancando attraverso la neve, sprofondandovi, col rischio di essere respinti dalla polizia che gli dà la caccia. Salgono sempre più in alto per evitare contatto, spesso di notte, con la speranza di un giorno trovare un posto dove stare. Molti hanno già valicato le desolate montagne di un Carso in crollo, e hanno visto scorci di Trieste, Venezia, Verona, Garda, Milano e Torino, alcune delle mete più ambite del mondo – ma alla fine l'Italia non è stata la loro destinazione. Non è stato un posto per loro.
Il film traccia un umile viaggio attraverso terre famose ma poco familiari, chiedendosi cosa una tale prospettiva riveli su questi paesaggi in drammatico cambiamento. La contrapposizione di queste due montagne, collegate all'improvviso da questo precario percorso, ci crea una sorta di prisma che pone domande urgenti sulle nostre vite parallele e i nostri valori collettivi. Viene spesso chiamata la 'rotta dei migranti', ma sono soltanto coloro che migrano a trovarsi in luoghi sconosciuti, o siamo tutti un po' in transito lungo la rotta dei consumi?
Nel 2022-23 ho collaborato con l'Università di Parma sul progetto di ricerca MOBS ('Mobilità, solidarietà e immaginari attraverso i confini: spazi di transito e di incontro'), con il compito di studiare la migrazione alla frontiera montana tra l'Italia e la Francia e di produrre materiale artistico da utilizzare nei laboratori che abbiamo tenuto in loco con operatori sociali, volontari e altre persone coinvolte nella solidarietà territoriale. Avendo osservato e ascoltato molte storie di migrazione da un punto fermo lì alla frontiera, mi sono reso conto che tutti questi movimenti avvenivano all'interno della mia inquadratura fissa. Un punto di vista stabile è comunque un posizionamento attivo, e il mio replicava quello degli abitanti, degli operatori sociali, della polizia: i miei co-sedentari. Se volevo produrre materiale che potesse favorire una consapevolezza più profonda e maggiore comprensione, invitando la gente a riflettere e riconsiderare le proprie esperienze, sentivo di dover sperimentare un nuovo approccio.
Quell'inverno la maggior parte delle persone che rischiavano la traversata alpina erano arrivate dalla rotta balcanica via Trieste, molte solo un giorno o due prima, e mi ha colpito la triste simmetria del loro breve soggiorno transitorio in Italia, che così tanto sforzo era stato fatto per arrivare fin qui attraverso una montagna per poi ripartire attraverso un'altra, i 600 km fra le due frontiere superati in poche ore di treno. Montagna/pianura/montagna; a piedi/in treno/a piedi. Ho deciso di seguire questo percorso con gli stessi mezzi e lo stesso ritmo, sperando di pervenire a una lettura più empatica del viaggio. Ma invece di fotografare chi lo intraprende e rischiare di partecipare all'othering della sua esperienza (per non parlare di altri motivi etici e legali più ovvi), ho cercato di fotografare ciò che qualcuno in tale posizione vede – i paesaggi testimoniati – invertendo lo sguardo e ribaltando la consueta rappresentazione sedentaria della migrazione. In questo modo, non si tratta più della solita visione statica che ritrae persone sconosciute in transito, bensì di una visione mobile che ritrae uno sconosciuto Paese in transizione.
Le immagini elaborate tramite questo approccio recano tracce di storie sedimentate che insieme formano un dinamico paesaggio sfaccettato, ma è proprio la prospettiva soggettiva a rivelare queste tracce. Non sono le singole foto a divulgare il significato, ma piuttosto la combinazione e l'interazione delle immagini. Il vero senso si trova – o meglio, si crea – tra le foto, e sarà diverso per ogni osservatore in relazione alla propria vita e ai propri ricordi. Qui c'era una possibilità. Immagini evocano altre immagini, richiamando altri momenti ed emozioni, e mi sono chiesto se questa ambiguità intrinseca della fotografia potrebbe essere una via per tradurre esperienze così abissali e riportare in dialogo le nostre vite disparate. Molti che vedranno questo film avranno i documenti e le risorse per viaggiare come se vivessero in una realtà alternativa rispetto a quella raccontata qui, ma tutti noi abbiamo avuto freddo, ci siamo persi o ci siamo guardati alle spalle in qualche momento. Forse la fotografia, nel toccare ricordi di azioni ed esperienze, nel restituire la vita ai suoi verbi, può creare piccoli ponti dove le parole e i sostantivi ci tengono separati. Dubbi abbondano, ma così mi sono detto durante il viaggio: Io non posso vivere questa tua esperienza, né comprendere bene ciò che affronti, ma provandoci potrei avvicinarmi.
Immagino che il significato di questo piccolo film si trasformerà presto nel tempo, così come le rotte e i paesaggi rappresentati, ma in quelle buie notti sulla montagna mi è sembrato di grande importanza registrare una memoria di questi incredibili e strazianti viaggi, affinché non vadano perduti in una storia disinteressata come chissà quanti abiti tra le erbacce. I paesaggi non appartengono meno a chi migra, anzi, a volte ci vuole un po' di movimento per vedere dove siamo.
Opher Thomson, 2025
Il migrante non esiste. È una categoria creata dall'ordine costituito per quei corpi considerati fuori luogo, per l'arrivo inaspettato e non richiesto inaugurato dal viaggio fisico e dalle trasformazioni sostenuti dai processi storici in atto. Creato dalle esigenze economiche e culturali estrattive dell'ordine costituito, il migrante, anziché essere una figura periferica, espone i meccanismi politici e ideologici dello status quo. La sua presenza, invariabilmente razzializzata e resa marginale, propone una critica perpetua. Il suo fallimento e il suo rifiuto di essere assimilata segna i limiti dei nostri poteri politici e culturali e le loro pretese di riconoscimento universale. Reso senza volto e anonimo, cioè inferiore e solo astrattamente riconosciuto nella sintassi dell'accoglienza, il migrante rende il nostro linguaggio opaco e inaccessibile alla trasparenza che cerchiamo di imporre.
Se la stabilità delle mappe e la rigidità delle frontiere sono chiaramente violate, è il migrante a macchiare la presunta purezza della narrazione nazionale e ad accartocciare la documentazione della cittadinanza e le flessioni non considerate dell'appartenenza.
L'originalità del lavoro di Opher Thomson consiste nel considerare il paesaggio messo in moto dai migranti. Piuttosto che corpi stranieri e sconosciuti che attraversano un campo visivo statico, inquadrati in una prospettiva che non hanno scelto, è il paesaggio che viene acquistato sotto gli occhi migranti del viaggiatore, attraversato e messo in movimento dal suo movimento non autorizzato. Trasferiti da uno sfondo apparentemente senza tempo, i contorni, le forme e le sfide della terra acquistano vita. L'umanità contesa della migrazione - chi è identificato con i diritti alla mobilità e chi è fisicamente bloccato e culturalmente limitato - incontra un paesaggio dinamico in cui la meschina fornitura di passaporti e permessi cede il passo in prossimità di strade più profonde che attraversono il mondo. Il paesaggio non è mai solo nostro. Il movimento di altre vite, di altre storie, e di altri corpi – umani e non – ci porta al limite delle parole in una lingua che non è semplicemente la nostra.
Iain Chambers, 2025
(Autore di 'Location, Borders and Beyond: Thinking with Postcolonial Art', 'Migrancy, Culture, Identity' e 'Paesaggi migratori')