Questo fiume si divide in due rami: uno scorre come un normale canale cittadino, con l’acqua di un verde profondo e le sponde ben definite; l’altro invece appare come un ruscello naturale, trasparente, come se arrivasse direttamente dalla natura. Attraversando il ponte, sono stato attratto proprio da questo corso d’acqua più selvaggio, che scorre vicino ai muri degli edifici e mi ha fatto pensare a Venezia, alla sua intimità liquida. Dall’altro lato del ponte, osservando meglio la sorgente, ho notato come l’acqua fluisse in modo irregolare, con sponde di terra, proprio come nei torrenti di montagna che ho visto in passato. Durante tutte queste osservazioni, la musica è stata sempre presente: che fosse la musica di sottofondo del caffè “BOHO” o il suono della fisarmonica suonato da un artista di strada sul ponte, il ricordo di questo spazio si è fissato in me come qualcosa di vivo, in movimento, pieno di bellezza.
Per osservare meglio questa zona d’acqua, ho scelto di visitare il Parco Treves, che vi è collegato. Ma per due volte non sono riuscito a entrare a causa delle informazioni errate sugli orari di apertura su Google Maps. Quando finalmente sono riuscito a entrare, ho scoperto un giardino segreto: piccolo, nascosto dagli alberi, con un ingresso poco visibile. Un fiume divide il parco in due parti, collegate da due ponticelli diversi. Da una parte c’è una collina con rovine storiche, dall’altra alberi di ogni forma. Durante la visita, ho incontrato un altro visitatore che, come me, era lì per la prima volta: nessuno dei due sapeva a che ora chiudesse il parco. Quando il custode ha annunciato la chiusura, ho sentito ancora di più il fascino misterioso di questo luogo.
Alla seconda uscita dal parco, ho scelto di uscire da un piccolo cancello che non sapevo dove portasse. All’interno, un lungo scivolo di legno accessibile conduce proprio lì. Poco fuori, su un muro, ho notato un graffito raffigurante un medico, e ho capito che il parco si trova all’interno del complesso ospedaliero. Poco dopo, una famiglia è uscita da quel cancello: il padre portava uno zaino da cui spuntava una grande croce, e tutti insieme trascinavano le valigie verso gli edifici dell’ospedale. Ho compreso allora che questo parco non è solo un luogo per chi passeggia con il cane, ma anche un ingresso speciale, pensato per offrire un momento di sollievo ai pazienti e alle loro famiglie. Questo spazio parla molte lingue.
Nel parco, il contrasto più evidente è tra un albero cresciuto piegandosi fino quasi a toccare il suolo e gli edifici ordinati sullo sfondo. È l’immagine della natura libera che incontra la geometria dell’uomo. Ma la verità è più amara: la natura è recintata, e la città continua a espandersi, sempre più in cemento.
Le mie osservazioni sono avvenute tutte in giornate di sole. Lungo il fiume, il sole splendeva così forte che molti turisti, vestiti pesanti, si toglievano le giacche per legarsele in vita. L’acqua rifletteva la luce con tale intensità che costringeva a socchiudere gli occhi. Il suono dello scorrere dell’acqua che urta le pietre era costante. A Pontecorvo, prima che arrivasse il caldo estivo, le glicini erano in fiore, pendenti quasi fino a terra: ogni volta che ci passavo vicino, il loro profumo fresco mi accarezzava.
Il ponte che ho scelto è reso unico dalla presenza frequente di un suonatore di fisarmonica. Il parco invece, a mio parere, si distingue per la recinzione in legno che ricorda una staccionata: mi ha fatto pensare ai giardini tradizionali cinesi, dove si usano materiali naturali per creare armonia con il paesaggio. Questo mi ha dato una strana sensazione di familiarità. Dal Pontecorvo si vede facilmente la basilica di Sant’Antonio in lontananza, un punto di riferimento che aiuta a orientarsi immediatamente.
I frequentatori più abituali del parco sono persone con i loro cani. Lungo il fiume, spesso si vedono coppie di ragazzi studiare o abbracciarsi. Sulle panchine in pietra ci sono persone che dormono al sole. All’interno c’è un’area coperta di ghiaia bianca dove spesso le persone si fermano a parlare dopo essersi incontrate. Io, con la mia macchina fotografica, vengo spesso interpellato: le coppie lungo il fiume mi chiedono cosa stia fotografando, i passanti curiosi si fermano. Tutti hanno un motivo diverso per trovarsi lì.
Nel parco c’è un padiglione antico, oggi chiuso da una recinzione. Le sue pareti bianche sono ricoperte, nella parte bassa, da muschio verde scuro. Sulla parete interna, vicino all’apertura centrale, ci sono tantissime incisioni: nomi lasciati dai visitatori, spesso scritti in coppia e racchiusi da cuori, come a dichiarare un amore.
Il parco è aperto gratuitamente a tutti durante gli orari di apertura, ma da fuori è difficile intuire cosa nasconda. L’ingresso è poco visibile, circondato da proprietà private. Da un lato ci sono ville, e immagino che per chi ci abita il parco sia come un grande balcone verde. Dall’altro lato ci sono uffici e parcheggi, spesso deserti. C’è anche l’ospedale, ma la vegetazione fitta sulla recinzione impedisce di vedere dentro. Il fiume scorre sotto il Pontecorvo, nascosto dai rami liberi.
Il parco ospita numerosi reperti storici, con cartelli che raccontano le storie del passato. Ogni albero ha una targhetta con il proprio nome, e il parco sembra quasi un giardino botanico: i visitatori possono imparare a riconoscere le “famiglie” di alberi presenti in tutto il mondo.
Non essendo di Padova, non conosco nel dettaglio l’evoluzione di quest’area nel tempo. Ma gli elementi storici presenti nel parco raccontano di un luogo antico. Alcuni edifici originari sono stati danneggiati. Durante una delle mie ultime visite ho visto che l’albero cresciuto in orizzontale si è spezzato, e ora è circondato da una barriera che impedisce alle persone di avvicinarsi. È stato un vero dispiacere.
Il ponte che ho scoperto esiste grazie al fiume. Le piante lungo le sponde crescono rigogliose grazie all’umidità. Chi cerca un po’ di pace si siede lì, vicino all’acqua, lasciandosi cullare dallo scorrere. Nelle acque vivono anche coppie di anatre. Questo spazio non è solo un rifugio per gli esseri umani, ma anche la casa di tanti altri esseri viventi.