Quello che mi attira in questo luogo è la tranquillità, un senso di pace che è dovuto a un insieme di cose: il rumore dell’acqua che sovrasta quello dei pensieri, la sensazione di essere isolata da tutto il resto pur essendo vicina a casa, la possibilità di stare da sola ma insieme di incontrare qualcuno.
Vi si accede a piedi, le poche auto che passano sono dei residenti. I confini tra pubblico e privato sono porosi, sono soglie, bordi, margini più che confini perché sono immateriali, fatta eccezione per qualche cartello. Sono confini in qualche modo soggettivi, culturali, emotivi.
La porosità dei confini spinge gli abitanti di questo luogo a comunicare con forza la proprietà privata. Camminando qui con uno sguardo attento si trovano piccole tracce di chi è passato prima.
Il contrasto spaziale rende visibile il contrasto temporale. C’è il tempo lento della terra, dei sentieri, del parco. C’è il tempo veloce dell’autostrada, della zona industriale. E per ogni tempo ci sono le azioni che disegnano lo spazio. Abitare, curare, attraversare. Produrre, passare, andare. La roggia segna il confine tra due ritmi diversi.
Lo sguardo corre libero fino a trovare le barriere dell’autostrada che lo invitano a salire. Il mormorio dell’acqua che scorre lenta, il cinguettio degli uccelli sulle chiome degli alberi, il fruscio delle foglie, i miei passi sulla stradine bianca, ma anche il motore di un trattore, il brusio metallico delle fabbriche e il rumore dell’autostrada. Nella bocca sapore di polvere. Nel naso profumo di erba appena tagliata, di fiori e di scarichi. Sulla pelle una sensazione umida e l’aria fresca che la accarezza.
Ciò che caratterizza questo luogo non sono i singoli elementi ma il loro insieme. Il maglio, le abitazioni, le fabbriche della zona industriale, gli spazi verdi sia pubblici che privati, le barriere antirumore della Pedemontana.
Ci sono spazi che sono stati pensati per ritrovarsi come il parco Baden Powell o alcune panchine e poi ci sono punti di ritrovo informali, che sono quelli dove le persone si incontrano spontaneamente e si fermano a parlare: gli argini, le stradine, i sentieri.
Questo è un luogo di passaggio in cui, chi passa, non sembra lasciare tracce. O almeno non tracce materiali. A volerle cercare, alcune tracce ci sono, sono quelle impresse nella memoria di chi è passato tante volte, sono sensazioni. Scene che si ricostruiscono come fantasie e abitano lo spazio vuoto come fossero i fantasmi di ciò che è stato.
Visibile ma non esposto, protetto, intimo, discreto. Per quanto può esserlo uno spazio di paese, dove tutti conoscono tutti.
Giace immobile e quasi nascosto, con la sue forme squadrate e una semplicità antica, un lavatoio che mi catapulta a un passato che non ho vissuto, ma che tante volte mi è stato raccontato.
Laterizi, sassi di fiume, cemento e asfalto: in quel piccolo arco che sostiene la strada e lascia passare l’acqua sotto, sembra racchiusa l’intera evoluzione tecnologica.
La roggia ha modellato il paesaggio che attraversa: ha irrigato i campi, alimentato i primi impianti protoindustriali e reso possibile la vita quotidiana, permettendo alle persone di abitare e lavorare in questo territorio. Oggi è una presenza silenziosa, apparentemente inutile, ma questo luogo sarebbe completamente diverso se non ci fosse.